Storia dell'Accademia

La Accademia dei Rozzi, che anche oggi continua le tradizioni di decoro e signorilità che sempre l'hanno contraddistinta, ha avuto un'origine gloriosa e può vantare il primato dell'antichità su tutte le viventi consorelle italiane, anche se sia incerto l'anno preciso della sua fondazione. Forse nacque contemporaneamente a quella celebre e pur senese degli "Intronati", ed è dato supporre che ciò dipendesse dal fatto che nel secolo XV Siena attraversava un periodo particolarmente glorioso il pubblico Studio, dove convenivano studenti non solo da ogni parte d'Italia, ma dalla Germania, dalla Spagna, e dal Portogallo e vi insegnavano valenti lettori e cultori della giurisprudenza, della medicina, della filosofia e delle lettere, come nelle maggiori e più celebri Università. Appunto nello Studio la rinascita dell'Umanesimo trovò campo fecondo per lo sviluppo delle nuove dottrine, le quali rinnovando il sentimento e il pensiero di tutta la vita italiana, vennero a chiudere per sempre l'èra del medioevo. A quel generale risveglio letterario partecipò anche la classe popolare senese, e mentre il ceto nobile, cioè i più dotti, poetavano, filosofavano, novellavano e scrivevano storie e commedie sul gusto classico, gli artisti ed il popolo, seguendo maggiormente gli impulsi di quel carattere giocondo e festaiolo, che si perpetuava fra loro fino da antichissimo tempo, componevano, più modestamente, strambotti, elegie e commedie villareccie e rusticane(1), che poi recitavano da loro stessi nelle piazze pubbliche, per dilettare il popolo meno raffinato, specialmente nella ricorrenza del Carnevale. 

E già fin dalle origini gli autori di quelle popolari e rozze commedie devono essere venuti ad acquistare una qualche notorietà anche fuori di Siena, se, come è certo, il mondano papa Leone X (1513-1520) li chiamava a Roma per allietarsi delle loro facezie e dei loro strambotti, che poi deliziarono anche l'imperatore Carlo V quando venne a Siena(2).
La lieta accoglienza che i Rozzi ricevevano in patria e fuori dovette invogliare un numero sempre maggiore di artigiani a scendere nell'agone, tantoché, cresciuti di numero, nell'ottobre 1531 vennero a costituirsi in società(3), che per ragionevole modestia e buon senso intitolarono "Congrega" anziché Accademia. Adottarono per impresa una sughera ricoperta di rozza scorza, con quattro rami intrecciati, significanti le quattro stagioni dell'anno, col motto: "Chi qui soggiorna acquista quel che perde", volendo significare con ciò, che chi entrava a far parte dell'Accademia, assumeva il titolo di "Rozzo" ma viceversa perdeva, frequentandola, ogni traccia di ignoranza e zoticheria; impresa che l'Accademia, ancor oggi, conserva nella sua integrità. Costituita, così la nuova Congrega, i fondatori pensarono di darle una costituzione e di dettare le norme per lo sviluppo e prosperità della medesima. Infatti troviamo che "oltra i piacevoli giucchi e lieti deportamenti" si dovesse occupare "di qualche dilettevole studio di gioconda eloquentia in verso o poesia, nel vulgare o toscano idioma; ogni volta che ragunati saremo fra noi si tratti, per esercire gl'ingegni di ciascuno, e per essar noi di cristiano greggie professori, ne pare ch'almeno in nel tempo quadragesimale, in fra noi, si legna la elegante e dotta commedia di Dante, in quella parte ch'ai signor Rettore parrà : al quale ogni volta che ci dipartiremo imponga, per la seguente festa, a uno di che materie a tutta la Congrega, abbi alleggiare, acciò che ciascuno possa in quel tempo studiare, per potere poi in qualche bella materia in fra noi ragionando trattare ; e questo sia al primo esercizio ch'all'ora constituta dal congregarci far si debba; ma ne li altri tempi si legga o le leggiadre opere del Petrarca o le allettevoli prose del Boccaccio o d'altri autori antiqui o moderni ch'elegantemente abbino scritto. Dipoi si proponga giochi vegliareschi, se di alcuno ci sarà da far prova; e poi se alcun' de' nostri componitori averà da publicare alcuna composizione di prose o rime, manifestamente le reciti e sopra a esse alquanto si ragioni. Non si manchi al comprovar de le commedie quando si haveranno, ammettere avanti: diesi ancora espeditione a le faccende occurrentì che per la comune utilità de la Congrega si aranno a proseguire. In ultimo, se tempo ci sarà d'avanzo, el signor Rettore ne possa condurre per la città o fuore e farne tutti giocare a la palla o a la piastrella o a le palline con quelle leggi che esso albitrarà etc. etc."(4). Come esempio di lingua, non può dirsi che questo statuto brilli di gran luce, ma il programma è davvero degno d'ogni lode. A somiglianza degli accademici "Intronati" i componenti la Congrega dei Rozzi, assunsero nomi ridicoli e qualche volta volgari e così i fondatori si dissero: il Digrossato (Stefano d'Anselmo, intagliatore), il Voglioloso (Alessandro di Donato, spadaio), il Risoluto (Agnolo Cenni, maniscalco), lo Stecchito (Anton-Maria di Francesco, cartaio), l'Avviluppato (Marcantonio di Giovanni, ligrittiere), il Pronto (Bartolomeo di Francesco Almi, pittore), il Traversone (Ventura di Niccolo, pittore), il Dondolone (Girolamo di Giovanni Pacchiarotti, detto il Pacchia, pittore), il Galluzza (Bartolomeo Del Milanino, sellaio), il Rimena (Agnoletto di Giovanni, maniscalco), il Malrimondo (Bartolomeo di Sigismondo, tessitore) e il Meraviglioso (Scipione, trombetto del Luca d'Amalfi) (5), e più altri cinque che collaboravano con i dodici fondatori dei quali si conoscono solamente i soprannomi e cioè il Quieto, il Ruvido, lo Stralunato, l'Arrogante e il Contento(6).
Durò questo sistema dei soprannomi fino agli ultimi anni del secolo XVIII, dopo di che non se ne trova più traccia nei libri delle deliberazioni dell'Accademia.
Abbiamo detto più sopra che i componenti la Congrega, si occupavano di scrivere strambotti, egloghe, commedie villareccie etc., e ciò in contrasto alle creazioni ampollose e ai componimenti arcadici che si recitavano e scrivevano dagli Intronati; ma con l'andare del tempo e più propriamente sul finire del sec. XVII, essendosi la Congrega arricchita di soci che godevano fin da allora di una notevole fama nel campo artistico e letterario, dei quali basterà citare il solo Girolamo Gigli, che tanto fece parlare di sé in Toscana e Roma, cominciarono a scendere in piazza per rappresentare pubbliche feste, anche di soggetto mitologico e storico(7), non abbandonando, però, mai il genere poetico e le commedie popolari: e non avendo i Rozzi un locale ove recitare le loro composizioni, mercé l'intercessione del principe Francesco de' Medici governatore di Siena, ottennero nel 28 dicembre 1690, non solamente di cambiare la Congrega in Accademia, ma di potersi servire del "Saloncino"(8), sala vastissima posta al piano superiore dei locali dell'Opera Metropolitana e divenuta poi famosa perché nel 1777 il celebre tragico Vittorio Alfieri vi lesse alcuni dei suoi insigni lavori.
Gli Accademici, senza abbandonare il " Saloncino ", fino a tanto che dall'Opera non fu adibito ad usi diversi, e come vedremo più appresso pur servendosi di altri locali adatti per la rappresentazione dei loro spettacoli, nel giugno del 1727, ritenendo indecorosa la stanza che serviva per le loro adunanze, posta in Via di Beccheria, unanimemente stabilirono di fabbricare "una nobile e maestosa sala". Acquistate così alcune stanze e botteghe poste di fronte all'antica chiesa parrocchiale di San Pellegrino, di proprietà del Capitolo della Metropolitana senese(9e tenute a pigione "per uso di lana" da un tal Sugarelli, ed altre da un tal Giovan Battista Alberti, cominciarono, dalle fondamenta, a porre in esecuzione il lor disegno, affidandone le direttive agli accademici Epilogato (Anton Filippo Conti) e all'Arguto (Pier Antonio Montucci). Ma, forse, per incuria dei dirigenti, e più che altro per la poca avvedutezza del capo-maestro muratore Giuseppe Fondi, che aveva posto in opera una vecchia trave vendutagli da un tal Posi, falegname, nel dì 11 ottobre dello stesso anno, mentre molti operai " erano andati a desinare " rovinò un palco seppellendovi sedici persone (10).
Non per questo impreveduto inconveniente si sgomentarono i " Rozzi " che anzi posta mano, con spesa non lieve, alle riparazioni dei danni patiti, ed al proseguimento del fabbricato, stabilirono di dar principio alla facciata e di decorarla con tutti gli emblemi corrispondenti allo scopo, che fino dalla loro fondazione si erano prefissi. Così arricchirono la porta " di broccatello di Mont'Arrenti e geroglifici esprimenti le belle arti e lettere, con ringhiera, al disopra della medesima, bizzarramente ideata, di ferro sì, ma con vari riporti e cornici e pallotti d'ottone, ed il rimanente della facciata, che si distingue in tre diversi ordini di finestre, lavorate tutte di stucchi a mano a somiglianza di broccatello, con cornicione in fine, che inganna per la somiglianza al vero finissimo marmo bianco ", come si vede al presente.
Terminato il fabbricato i " Rozzi " decisero di decorare le mura della nuova sala e mentre lateralmente ad un quadro rappresentante l'Immacolata Concezione, donato dall'accademico Antonio Benfigli, pittore, vi fecero due grandi medaglioni a chiaro-scuro dipingendovi Adamo ed Eva; lungo le pareti vi si affrescarono Ester che dettava leggi, le profezie di Debora, Giaele mentre inchiodava Sisara, Giuditta che mostrava il suo valente braccio, la gran torre di David, il roveto ardente, l'arca di Noè e il tabernacolo custodito.
E perché tra l'una e l'altra di queste pitture vi restava molto spazio, così i " Rozzi " pensarono di riempirlo con grandi cornici e bracciali di cristallo sostenenti varie luci; nel centro vi appesero un discreto numero di lumiere grandi e piccole; quasi ciò non bastasse altre lumiere posero lateralmente alla immagine dell'Immacolata.
Tutto questo lavoro era già terminato nel dì 11 giugno 1731(11), e fu appunto in questo giorno che lo Sparuto Giov. Francesco Andreucci, in quel tempo Arcirozzo, decise di fare la inaugurazione del nuovo locale. Piuttosto che riassumere qui la memoria sincrona lasciataci dal sacerdote Carlo Conti su questa festa inaugurale, dopo aver accennato succintamente alle notizie nella medesima contenute, preferiamo di pubblicarla integralmente, non tanto a titolo di curiosità quanto per comodo di tutti coloro che si occupano della storia del costume (Doc. I).
Malgrado le spese commesse dall'Accademia e le proposte fatte per vedere se la nuova sala poteva adattarsi per le produzioni che si facevano, il risultato fu negativo e quindi, come abbiamo più sopra accennato, privi del " Saloncino " i Rozzi fecero ricorso alla nobile famiglia Bianchi, perché cedesse loro il teatro che aveva nel palazzo. Sappiamo infatti che si servirono di quel locale fino a che, per la morte di Giulio Ranuccio Bianchi governatore di Siena, avvenuta nel 1824, la vedova, Caterina di Niccolò Ghini-Bandinelli, adducendo la ragione del gravissimo lutto, negò all'Accademia di poterne usufruire; ma tale inibizione non dové durare troppo a lungo, perché nel 1837 i " Rozzi " se ne servivano nuovamente per l'esercitazioni dei giovani e fors'anco per recitarvi le commedie loro e quelle di altri autori.
Della costruzione di un nuovo teatro si durò a parlare e discutere tra i Soci per molti anni, e pure avendone ottenuta, il 7 decembre 1817, la permissione dal Granduca Ferdinando III(12), nulla si concludeva per il disaccordo che regnava tra i Soci stessi. Finalmente dopo lunghe trattative e polemiche, acquistarono i " Rozzi " la sala dove la soppressa Arte della Lana aveva la sede (13), passata in proprietà della casa Mocenni, e così verso l'anno 1836, su disegni dell'architetto Alessandro Severi, il teatro potè avere il suo inizio(14).
La Accademia dei Rozzi sul principio del sec. XIX si componeva di due sezioni e cioè quella di " Conversazione" e l'altra dei " Rozzo-Filodrammatici ", in seno alla quale nel 22 febbraio 1823 sorse la sezione " Critico-letteraria-senese ", che aveva per scopo di " contribuire e promuovere il ben essere sociale ed il decoro dell'amata patria, Siena, ove la toscana favella ebbe soavità ed eleganza " ed altresì quello di perfezionare la gioventù nell'arte drammatica e di adoperarsi con ogni mezzo a ridurre il Teatro " una vera scuola di virtù pubbliche e domestiche e ad un tempo stesso scuola, pure, di lingua e di pura pronunzia nazionale".
La sezione " Rozzo-Filodrammatica " e conseguentemente quella " Comico-critico-letteraria " durò fino al dì 8 settembre 1858, anno nel quale venne a fondersi definitivamente con l'Accademia.
A seguito del X Congresso degli Scienziati Italiani, essendosi costituita in Siena, una " Società di Storia Patria Municipale ", nel 1870 la Accademia dei Rozzi ne assunse direttamente la direzione, pubblicando un Ballettino ricco di notizie e di memorie rievocanti le più belle pagine della storia e dell'arte della nostra Siena.
Seguitò questo Bullettino le sue pubblicazioni fino al 1930, nel quale anno, per iniziativa del podestà marchese Fabio Bargagli-Petrucci, essendo sorto un " Istituto Comunale di Arte e di Storia " questi assunse la pubblicazione del Bullettino stesso, conservando, pur allargandole, le vie aperte e seguite, tanto onorevolmente, per così lungo decorso di tempo, dalla ricordata Accademia.
Oggi, dopo le trasformazioni che si sono accennate, e quelle ancora più sfarzose fatte in questi ultimissimi tempi(15), l'Accademia continua ad essere luogo ambito di ritrovo e di ricreazione per i Soci, ed ha una Sala di lettura, ben fornita delle migliori riviste e giornali italiani e stranieri, che è una delle migliori attrattive di questo Circolo familiare. L'Accademia organizza ancora feste e trattenimenti, e, fedele in questo alle antiche origini, promuove conferenze e mantiene attivo il proprio teatro di prosa, nel quale sono passati e passano tutti i maggiori artisti drammatici e comici italiani.

A. LIBERATI